Martirio
L’antica storia di S. Pancrazio ha suscitato tra gli eruditi diverse contestazioni. In essa si riscontrano infatti anacronismi di rilievo ed altri difetti che rilevano il comune armamentario agiografico di cui si servivano i compilatori per soddisfare il grande slancio di pietà per un martire e per un luogo santo. La critica demolitrice è però andata un poco oltre. Certo le redazioni latine e greche dei Gesta di S. Pancrazio arrivate sino a noi hanno bisogno dello sfrondamento delle molte alterazioni che esse contengono, ma ci sono, al fondo di tali narrazioni, alcuni elementi sicuramente attendibili. Come spiegare d’altra parte che già sul finire del V secolo fosse sicuramente attestato gran fervore per un martire di cui si sapevano poco più che un nome ed un centro di culto? (Cecchelli, ’San Pancrazio’).
Gli Acta che narrano il martirio di s. Pancrazio non sono contemporanei ai fatti accaduti e secondo gli studiosi risalgono, nella redazione finale pervenuta fino a noi, circa a due secoli dopo. Sembra infatti che furono compilati definitivamente nel VI sec., periodo di massimo fervore del culto tributato al martire, e in concomitanza con la costruzione della grande basilica voluta da Papa Simmaco per custodirne la memoria.
Tale ritardo nello stendere le passiones è così spiegato dal Grisar.
Sorge anche un’altra difficoltà. La Passio sancti Pancratii è giunta fino a noi in diverse redazioni differenti tra loro. Ciò non deve meravigliare, perché i codici sono dipendenti l’uno dall’altro, vengono trascritti a distanza di tempo e spesso, nella comparazione, appaiono interpolati e variati dalla mano del copista che, davanti ad una lezione difficile, ha creduto di risolvere un problema abbellendo a proprio gusto il testo su cui lavorava.
Nel suo studio Le numerose recensioni della Passio Pancratii G. Verrando parla di un incalcolabile numero di manoscritti contenenti la suddetta leggenda, esistenti in tutte le biblioteche d’Italia e d’Europa per cui risulta impresa assai ardua tentare anche solo il raffronto e la classificazione dei codici originali. Semplificando molto la questione e lasciando agli studiosi competenti in materia la disamina delle molte e diverse domande che la Passio pone, così come è giunta fino a noi, scegliamo di seguire la redazione presentata dai Bollandisti, eruditi della Compagnia di Gesù che nel secolo XVII si proposero di raccogliere, vagliare e commentare i documenti agiografia. La Passio da loro presentata descrive la morte del padre di Pancrazio, la venuta di zio e nipote a Roma, l’incontro col Papa, la conversione del giovane alla fede cristiana, l’arresto e la disputa con l’Imperatore, la condanna e il martirio. Un’altra redazione, ad esempio, afferma invece che Pancrazio era già di famiglia cristiana: chi scrisse questo racconto, probabilmente in ambiente francese, seguiva una differente tradizione o forse preferì abbellire il racconto che conosciamo, reputandolo stilisticamente troppo povero. Non era neanche raro che un codice antico, magari mutilo in qualche parte, subisse un tentativo di ricostruzione sulla base di altre testimonianze, poi andate perdute. Essendo molto il tempo trascorso e mancando fonti alternative a quelle esistenti possiamo anche considerare degno di fede, almeno nella sostanza, ciò che a distanza di tanti secoli è giunto fino a noi. Anche allora infatti esisteva un senso critico, né mancava l’esigenza di ricostruire con sufficiente certezza un fatto storico, specialmente così notevole come il racconto di un martirio. Con p. Agostino Amore (Amore, ’I Martiri di Roma’) possiamo pensare che la Passio sancti Pancratii sia stata tramandata oralmente di anno in anno dai monaci benedettini del monastero di san Vittore che, fuggiaschi da Montecassino, ne custodivano il sepolcro e accoglievano i pellegrini, finché verso l’anno 594, quando Papa Gregorio Magno tenne nella basilica un’omelia giunta fino a noi, la passio venne fissata per iscritto dagli stessi monaci. Occorre dire che a giudizio degli studiosi vi sono tante e tali inesattezze che arrivano perfino a far dubitare dell’attendibilità del racconto del martirio, che in realtà si rivelerebbe una ardita ricostruzione ’storica’ fatta sulla base di scarse indicazioni e anzi simile ad altre Passiones della stessa epoca.
Si potrebbe però anche rivalutare lo scritto tenendo conto dell’unica finalità che mosse l’agiografo: divulgare la devozione e fornire ai fedeli un racconto attendibile di un fatto realmente avvenuto e di cui non si tramandavano che pochi e frammentari ricordi. Di ’mito’ dunque non si tratta, perché il personaggio era veramente esistito, versò il sangue per la fede, fu oggetto di devozione e operò miracoli; di ’storia’ neanche, perché i particolari del racconto, ad un attento esame, non reggono. Potrebbe la Passio sancti Pancratii essere definita un ’dramma storico con intento liturgico-devozionale’? Era questa la Legenda medievale: a metà strada tra la storia e il poema, spesso sapiente ricostruzione di fatti ormai sepolti dal tempo, di dialoghi, di cose vere ma non verificabili… Noi la presentiamo così, senza neanche sollevare obiezioni a chi ha cercato, scoperto e sottolineato le fantasie e ricostruzioni dell’agiografo dei secoli passati. Senza quella ’fantasia’ animata da sincero fervore religioso non avremmo oggi nulla che ci parli del santo giovinetto e di moltissimi altri, eccezion fatta per laconiche lapidi ed elenchi di antichi martirologi.
Nella nostra ricerca seguiamo la passio più antica, quella riportata negli Acta Sanctorum, perché testimoniata da un maggior numero di codici antichi, tra i quali ricordiamo il Codice Vallicelliano I e il Vaticano Latino 5771.
L’attendibilità della Passio sancti Pancratii si potrebbe desumere anche, come già argomentò il Baronio, dalla brevità e asciuttezza delle descrizioni, della narrazione e dei dialoghi, ciò che invece non è riscontrabile in racconti più tardivi di epoca medievale, nei quali abbondano descrizioni di fenomeni soprannaturali, tese a dimostrare la forza del martire che dal Signore attinge una forza sovrumana.
Che la legenda sancti Pancratii fosse famosa lo si deduce dal fatto che viene riportata nei cataloghi storici dei santi di tutti i secoli. Di essa abbiamo due famose epitomi: quella di Pietro de Natalibus nel Catalogus Sanctorum e la Legenda Aurea di lacopo da Varazze. La Legenda Aurea ricorda s. Pancrazio descrivendone la vita e il culto; il racconto concorda sostanzialmente con quello pervenuto fino a noi. Ciò va a conferma del fatto che la tradizione dei testi dopo l’iniziale periodo di fluttuante formazione è rimasta fedele nei secoli. Ascoltiamone il racconto, in una brillante traduzione moderna: “Pancrazio era di origine nobilissima. Perse i genitori in Frigia, e fu lasciato sotto la tutela dello zio Dionisio. Rientrarono tutti e due a Roma, dove avevano vasti possedimenti. Proprio in quella zona si stava nascondendo, con i suoi fedeli, il papa Cornelio. Dionisio e Pancrazio ricevettero da lui la fede. Dionisio più tardi morì in pace. Pancrazio invece fu catturato e portato al cospetto dell’Imperatore. Aveva allora circa quattordici anni. Diocleziano gli disse: Ragazzetto, stai attento, che rischi di morire male. Tu sei giovane, ed è facile che ti ingannino; sei di famiglia nobile, e sei stato un caro amico di mio figlio. Voglio da te che tu lasci perdere questa pazzia, e ti considererò come uno dei miei figli.
Pancrazio rispose: Anche se il mio aspetto è quello di un ragazzo, il cuore che ho in petto è quello di un uomo maturo. A noi cristiani, per virtù del mio Signore Gesù Cristo, la vostra prepotenza fa paura ne più ne meno che questi dipinti che noi vediamo. I tuoi dèi, quelli che mi vuoi spingere ad adorare, sono degli impostori; si stupravano tra fratelli, e non risparmiavano neanche i genitori: se tu vedessi far cose simili ai tuoi servi, li faresti subito uccidere. Mi stupisco anzi come tu non ti vergogni ad adorare dèi del genere.
L’imperatore, sentendosi battuto dal ragazzo, lo fece decapitare lungo la via Aurelia; era attorno all’anno 287 dopo Cristo. La senatrice Ottavilla fece seppellire il suo corpo.
Dice Gregorio di Tours che se qualcuno giura il falso presso il suo sepolcro, prima di arrivare al cancello del coro, o è preso dal demonio o esce di senno, oppure cade a terra e muore subito. Successe una volta che due persone ebbero una grave lite. Il giudice, che già sapeva bene chi era il colpevole, preso da uno scrupolo di giustizia, li portò davanti all’altare di Pietro, e là il colpevole cominciò a protestare la sua innocenza – quella che fingeva di avere. Chiese all’apostolo di indicare con un qualche segno la verità. Avendo lui giurato e non essendogli successo nulla, il giudice, che conosceva bene la malizia di quell’uomo, disse: Qui il vecchio Pietro o è troppo indulgente, o per modestia mostra deferenza nei confronti di un suo inferiore: andiamo allora dal giovane Pancrazio, e chiediamo a lui.
Giunti là, il colpevole ebbe l’impudenza di giurare il falso, ma non poté ritrarre la mano, e lì poco dopo morì. Tuttora molti badano che, nei casi difficili e dubbi, si giuri sulle reliquie di san Pancrazio”. (Iacopo da Varazze, Leggenda Aurea).
II Cardinale Baronio, autore nel XVI sec. Della più grande storia della Chiesa, ricorda il nostro santo nella sua monumentale opera: gli Annales Ecclesiastici: ’Rursus etiam, quod spectat ad martyres Romae passos, sustulit haec persecutio Rufum virum nobilem, una cum omni familia sua, quarta kalend. Decembris; sed et nobilem specimen christianae constantiae duo pueri ediderunt, quorum prior maxime commendatur Pancratius quatuordecim annos natus; sed et alius quoque aetate minor Crescentius, qui sub Turpilio (seu Turpio) judice, via Salaria gladio passus est’ (C. Baronio, Annales, III).
Anche se essenziale, la menzione del martirio di s. Pancrazio è da lui basata, come abbiamo visto, su fonti storiche antiche e degne di fede; l’attendibilità del racconto degli Acta viene dallo stesso Baronio confermata in una nota del Martirologio:’exstant ejus acta quae et sincera in aliquibus ecclesiis legi consueverunt’.
Il Surio, nella sua opera Historiae seu Vitae Sanctorum, Torino 1876, tra le diverse redazioni della passio sancti Paneratii sceglie di seguire quella dei Bollandisti. Così fa anche il Mombrizio, autore del Sanctuarium seu Vitae Sanctorum, Parigi 1910.
Come abbiamo visto gli Acta del martirio raccontano brevemente che durante il tempo delle persecuzioni, in Frigia, un giovanetto di nome Pancrazio, di nobile famiglia, rimasto orfano della madre, viene dal padre morente affidato allo zio il quale si prenderà cura di lui. Dopo tre anni, entrambi vengono a Roma, stabilendosi sul Celio, dove avevano delle proprietà. Sentendo parlare dei miracoli e delle parole del papa, pur essendo pagani, vengono presi dal desiderio di ascoltare le sue esortazioni, e dopo venti giorni di catecumenato diventano cristiani ricevendo il sacramento del Battesimo. Dopo la morte dello zio, Pancrazio, rimasto solo al mondo, viene catturato dalla forza pubblica, impegnata nei rastrellamenti di cristiani a causa della persecuzione, e viene condotto in prigione. Il processo però, essendo il giovane di famiglia nobile, si svolge nel palazzo imperiale, alla presenza dell’Imperatore. Questi tenta in ogni modo, prima con offerte e poi con minacce, di far recedere il giovane Pancrazio dall’empia superstizione dei cristiani. Davanti al netto rifiuto di questi e all’aperta proclamazione della sua fede, l’Imperatore lo condanna immediatamente a morte, la quale avviene per decapitazione al secondo miglio della via Aurelia. Il corpo del martire, raccolto da una pia matrona cristiana, viene sepolto nello stesso luogo, dove fiorirono miracoli dovuti alla sua intercessione.
La vicenda del martirio di s. Pancrazio può essere collocata, a seconda delle tradizioni seguite, sia a metà che sul finire del sec.III, ma la data della sua morte è unanimemente fissata al 12 maggio. A seconda della datazione cambierà anche il contesto politico ed ecclesiale: è per questo che in alcune redazioni il nome del Papa è Caio, in altre Marcellino, in altre ancora Cornelio. Tutte le testimonianze sono comunque concordi nel dare quattordici o quindici anni al giovane martire. Nulla ci vieta poi di supporre, tacendo le fonti storiche, che il santo giovinetto abbia sentito parlare e abbia ammirato il martire Tarcisio che appena qualche anno prima a Roma donò la vita per il Signore, difendendone il mistero eucaristico; e di Sebastiano, rimanendo attratto dal suo fulgido esempio di soldato che dalla milizia imperiale passò alla milizia di Cristo. Secondo alcune versioni degli Atti del martirio Pancrazio, una volta divenuto cristiano, fece dono ai poveri di tutte le proprie sostanze. Fu questo gesto eclatante che attirò la curiosità e poi le ire dell’imperatore Diocleziano.
Dall’iconografia del Santo, che viene raffigurato come un giovane soldato, nasce un’altra domanda: era forse egli un soldato di professione, come san Sebastiano? A quel tempo la carriera militare era certamente la più promettente per i giovani rampolli di nobili e ricche famiglie, e tale era quella di Pancrazio, in un Impero che della guerra aveva fatto la sua fortuna oltre che il mezzo per sottomettere il mondo; ma non avendo validi motivi per affermarlo preferiamo pensare che l’abito e la posa del combattente nelle quali egli è spesso raffigurato siano motivati dall’etimo del suo nome che significa: ’combattimento completo’, e che tale combattimento sia stato precisamente quello che gli fece riportare vittoria davanti all’Imperatore e al carnefice. (Bargellini, Il Santo del giorno, p. 265: ’il pancrazio presso i Greci e poi presso i Romani era un violento esercizio sportivo che riuniva in sé le caratteristiche del pugilato e della lotta. Il nome significava ’combattimento completo’ e lo stesso significato conserva il nome proprio di Pancrazio’).
Gli Acta che narrano il martirio di s. Pancrazio non sono contemporanei ai fatti accaduti e secondo gli studiosi risalgono, nella redazione finale pervenuta fino a noi, circa a due secoli dopo. Sembra infatti che furono compilati definitivamente nel VI sec., periodo di massimo fervore del culto tributato al martire, e in concomitanza con la costruzione della grande basilica voluta da Papa Simmaco per custodirne la memoria.
Tale ritardo nello stendere le passiones è così spiegato dal Grisar.
Sorge anche un’altra difficoltà. La Passio sancti Pancratii è giunta fino a noi in diverse redazioni differenti tra loro. Ciò non deve meravigliare, perché i codici sono dipendenti l’uno dall’altro, vengono trascritti a distanza di tempo e spesso, nella comparazione, appaiono interpolati e variati dalla mano del copista che, davanti ad una lezione difficile, ha creduto di risolvere un problema abbellendo a proprio gusto il testo su cui lavorava.
Nel suo studio Le numerose recensioni della Passio Pancratii G. Verrando parla di un incalcolabile numero di manoscritti contenenti la suddetta leggenda, esistenti in tutte le biblioteche d’Italia e d’Europa per cui risulta impresa assai ardua tentare anche solo il raffronto e la classificazione dei codici originali. Semplificando molto la questione e lasciando agli studiosi competenti in materia la disamina delle molte e diverse domande che la Passio pone, così come è giunta fino a noi, scegliamo di seguire la redazione presentata dai Bollandisti, eruditi della Compagnia di Gesù che nel secolo XVII si proposero di raccogliere, vagliare e commentare i documenti agiografia. La Passio da loro presentata descrive la morte del padre di Pancrazio, la venuta di zio e nipote a Roma, l’incontro col Papa, la conversione del giovane alla fede cristiana, l’arresto e la disputa con l’Imperatore, la condanna e il martirio. Un’altra redazione, ad esempio, afferma invece che Pancrazio era già di famiglia cristiana: chi scrisse questo racconto, probabilmente in ambiente francese, seguiva una differente tradizione o forse preferì abbellire il racconto che conosciamo, reputandolo stilisticamente troppo povero. Non era neanche raro che un codice antico, magari mutilo in qualche parte, subisse un tentativo di ricostruzione sulla base di altre testimonianze, poi andate perdute. Essendo molto il tempo trascorso e mancando fonti alternative a quelle esistenti possiamo anche considerare degno di fede, almeno nella sostanza, ciò che a distanza di tanti secoli è giunto fino a noi. Anche allora infatti esisteva un senso critico, né mancava l’esigenza di ricostruire con sufficiente certezza un fatto storico, specialmente così notevole come il racconto di un martirio. Con p. Agostino Amore (Amore, ’I Martiri di Roma’) possiamo pensare che la Passio sancti Pancratii sia stata tramandata oralmente di anno in anno dai monaci benedettini del monastero di san Vittore che, fuggiaschi da Montecassino, ne custodivano il sepolcro e accoglievano i pellegrini, finché verso l’anno 594, quando Papa Gregorio Magno tenne nella basilica un’omelia giunta fino a noi, la passio venne fissata per iscritto dagli stessi monaci. Occorre dire che a giudizio degli studiosi vi sono tante e tali inesattezze che arrivano perfino a far dubitare dell’attendibilità del racconto del martirio, che in realtà si rivelerebbe una ardita ricostruzione ’storica’ fatta sulla base di scarse indicazioni e anzi simile ad altre Passiones della stessa epoca.
Si potrebbe però anche rivalutare lo scritto tenendo conto dell’unica finalità che mosse l’agiografo: divulgare la devozione e fornire ai fedeli un racconto attendibile di un fatto realmente avvenuto e di cui non si tramandavano che pochi e frammentari ricordi. Di ’mito’ dunque non si tratta, perché il personaggio era veramente esistito, versò il sangue per la fede, fu oggetto di devozione e operò miracoli; di ’storia’ neanche, perché i particolari del racconto, ad un attento esame, non reggono. Potrebbe la Passio sancti Pancratii essere definita un ’dramma storico con intento liturgico-devozionale’? Era questa la Legenda medievale: a metà strada tra la storia e il poema, spesso sapiente ricostruzione di fatti ormai sepolti dal tempo, di dialoghi, di cose vere ma non verificabili… Noi la presentiamo così, senza neanche sollevare obiezioni a chi ha cercato, scoperto e sottolineato le fantasie e ricostruzioni dell’agiografo dei secoli passati. Senza quella ’fantasia’ animata da sincero fervore religioso non avremmo oggi nulla che ci parli del santo giovinetto e di moltissimi altri, eccezion fatta per laconiche lapidi ed elenchi di antichi martirologi.
Nella nostra ricerca seguiamo la passio più antica, quella riportata negli Acta Sanctorum, perché testimoniata da un maggior numero di codici antichi, tra i quali ricordiamo il Codice Vallicelliano I e il Vaticano Latino 5771.
L’attendibilità della Passio sancti Pancratii si potrebbe desumere anche, come già argomentò il Baronio, dalla brevità e asciuttezza delle descrizioni, della narrazione e dei dialoghi, ciò che invece non è riscontrabile in racconti più tardivi di epoca medievale, nei quali abbondano descrizioni di fenomeni soprannaturali, tese a dimostrare la forza del martire che dal Signore attinge una forza sovrumana.
Che la legenda sancti Pancratii fosse famosa lo si deduce dal fatto che viene riportata nei cataloghi storici dei santi di tutti i secoli. Di essa abbiamo due famose epitomi: quella di Pietro de Natalibus nel Catalogus Sanctorum e la Legenda Aurea di lacopo da Varazze. La Legenda Aurea ricorda s. Pancrazio descrivendone la vita e il culto; il racconto concorda sostanzialmente con quello pervenuto fino a noi. Ciò va a conferma del fatto che la tradizione dei testi dopo l’iniziale periodo di fluttuante formazione è rimasta fedele nei secoli. Ascoltiamone il racconto, in una brillante traduzione moderna: “Pancrazio era di origine nobilissima. Perse i genitori in Frigia, e fu lasciato sotto la tutela dello zio Dionisio. Rientrarono tutti e due a Roma, dove avevano vasti possedimenti. Proprio in quella zona si stava nascondendo, con i suoi fedeli, il papa Cornelio. Dionisio e Pancrazio ricevettero da lui la fede. Dionisio più tardi morì in pace. Pancrazio invece fu catturato e portato al cospetto dell’Imperatore. Aveva allora circa quattordici anni. Diocleziano gli disse: Ragazzetto, stai attento, che rischi di morire male. Tu sei giovane, ed è facile che ti ingannino; sei di famiglia nobile, e sei stato un caro amico di mio figlio. Voglio da te che tu lasci perdere questa pazzia, e ti considererò come uno dei miei figli.
Pancrazio rispose: Anche se il mio aspetto è quello di un ragazzo, il cuore che ho in petto è quello di un uomo maturo. A noi cristiani, per virtù del mio Signore Gesù Cristo, la vostra prepotenza fa paura ne più ne meno che questi dipinti che noi vediamo. I tuoi dèi, quelli che mi vuoi spingere ad adorare, sono degli impostori; si stupravano tra fratelli, e non risparmiavano neanche i genitori: se tu vedessi far cose simili ai tuoi servi, li faresti subito uccidere. Mi stupisco anzi come tu non ti vergogni ad adorare dèi del genere.
L’imperatore, sentendosi battuto dal ragazzo, lo fece decapitare lungo la via Aurelia; era attorno all’anno 287 dopo Cristo. La senatrice Ottavilla fece seppellire il suo corpo.
Dice Gregorio di Tours che se qualcuno giura il falso presso il suo sepolcro, prima di arrivare al cancello del coro, o è preso dal demonio o esce di senno, oppure cade a terra e muore subito. Successe una volta che due persone ebbero una grave lite. Il giudice, che già sapeva bene chi era il colpevole, preso da uno scrupolo di giustizia, li portò davanti all’altare di Pietro, e là il colpevole cominciò a protestare la sua innocenza – quella che fingeva di avere. Chiese all’apostolo di indicare con un qualche segno la verità. Avendo lui giurato e non essendogli successo nulla, il giudice, che conosceva bene la malizia di quell’uomo, disse: Qui il vecchio Pietro o è troppo indulgente, o per modestia mostra deferenza nei confronti di un suo inferiore: andiamo allora dal giovane Pancrazio, e chiediamo a lui.
Giunti là, il colpevole ebbe l’impudenza di giurare il falso, ma non poté ritrarre la mano, e lì poco dopo morì. Tuttora molti badano che, nei casi difficili e dubbi, si giuri sulle reliquie di san Pancrazio”. (Iacopo da Varazze, Leggenda Aurea).
II Cardinale Baronio, autore nel XVI sec. Della più grande storia della Chiesa, ricorda il nostro santo nella sua monumentale opera: gli Annales Ecclesiastici: ’Rursus etiam, quod spectat ad martyres Romae passos, sustulit haec persecutio Rufum virum nobilem, una cum omni familia sua, quarta kalend. Decembris; sed et nobilem specimen christianae constantiae duo pueri ediderunt, quorum prior maxime commendatur Pancratius quatuordecim annos natus; sed et alius quoque aetate minor Crescentius, qui sub Turpilio (seu Turpio) judice, via Salaria gladio passus est’ (C. Baronio, Annales, III).
Anche se essenziale, la menzione del martirio di s. Pancrazio è da lui basata, come abbiamo visto, su fonti storiche antiche e degne di fede; l’attendibilità del racconto degli Acta viene dallo stesso Baronio confermata in una nota del Martirologio:’exstant ejus acta quae et sincera in aliquibus ecclesiis legi consueverunt’.
Il Surio, nella sua opera Historiae seu Vitae Sanctorum, Torino 1876, tra le diverse redazioni della passio sancti Paneratii sceglie di seguire quella dei Bollandisti. Così fa anche il Mombrizio, autore del Sanctuarium seu Vitae Sanctorum, Parigi 1910.
Come abbiamo visto gli Acta del martirio raccontano brevemente che durante il tempo delle persecuzioni, in Frigia, un giovanetto di nome Pancrazio, di nobile famiglia, rimasto orfano della madre, viene dal padre morente affidato allo zio il quale si prenderà cura di lui. Dopo tre anni, entrambi vengono a Roma, stabilendosi sul Celio, dove avevano delle proprietà. Sentendo parlare dei miracoli e delle parole del papa, pur essendo pagani, vengono presi dal desiderio di ascoltare le sue esortazioni, e dopo venti giorni di catecumenato diventano cristiani ricevendo il sacramento del Battesimo. Dopo la morte dello zio, Pancrazio, rimasto solo al mondo, viene catturato dalla forza pubblica, impegnata nei rastrellamenti di cristiani a causa della persecuzione, e viene condotto in prigione. Il processo però, essendo il giovane di famiglia nobile, si svolge nel palazzo imperiale, alla presenza dell’Imperatore. Questi tenta in ogni modo, prima con offerte e poi con minacce, di far recedere il giovane Pancrazio dall’empia superstizione dei cristiani. Davanti al netto rifiuto di questi e all’aperta proclamazione della sua fede, l’Imperatore lo condanna immediatamente a morte, la quale avviene per decapitazione al secondo miglio della via Aurelia. Il corpo del martire, raccolto da una pia matrona cristiana, viene sepolto nello stesso luogo, dove fiorirono miracoli dovuti alla sua intercessione.
La vicenda del martirio di s. Pancrazio può essere collocata, a seconda delle tradizioni seguite, sia a metà che sul finire del sec.III, ma la data della sua morte è unanimemente fissata al 12 maggio. A seconda della datazione cambierà anche il contesto politico ed ecclesiale: è per questo che in alcune redazioni il nome del Papa è Caio, in altre Marcellino, in altre ancora Cornelio. Tutte le testimonianze sono comunque concordi nel dare quattordici o quindici anni al giovane martire. Nulla ci vieta poi di supporre, tacendo le fonti storiche, che il santo giovinetto abbia sentito parlare e abbia ammirato il martire Tarcisio che appena qualche anno prima a Roma donò la vita per il Signore, difendendone il mistero eucaristico; e di Sebastiano, rimanendo attratto dal suo fulgido esempio di soldato che dalla milizia imperiale passò alla milizia di Cristo. Secondo alcune versioni degli Atti del martirio Pancrazio, una volta divenuto cristiano, fece dono ai poveri di tutte le proprie sostanze. Fu questo gesto eclatante che attirò la curiosità e poi le ire dell’imperatore Diocleziano.
Dall’iconografia del Santo, che viene raffigurato come un giovane soldato, nasce un’altra domanda: era forse egli un soldato di professione, come san Sebastiano? A quel tempo la carriera militare era certamente la più promettente per i giovani rampolli di nobili e ricche famiglie, e tale era quella di Pancrazio, in un Impero che della guerra aveva fatto la sua fortuna oltre che il mezzo per sottomettere il mondo; ma non avendo validi motivi per affermarlo preferiamo pensare che l’abito e la posa del combattente nelle quali egli è spesso raffigurato siano motivati dall’etimo del suo nome che significa: ’combattimento completo’, e che tale combattimento sia stato precisamente quello che gli fece riportare vittoria davanti all’Imperatore e al carnefice. (Bargellini, Il Santo del giorno, p. 265: ’il pancrazio presso i Greci e poi presso i Romani era un violento esercizio sportivo che riuniva in sé le caratteristiche del pugilato e della lotta. Il nome significava ’combattimento completo’ e lo stesso significato conserva il nome proprio di Pancrazio’).